Una proposta da prendere sul serio per costruire un patrimonio di civiltà
Davanti alla tragedia dell’Esselunga di Firenze, è partito il solito refrain: per fermare la strage di lavoratori non basta la repressione, servono prevenzione e formazione. Giusto? Di più, giustissimo. Però, con un numero di morti bianche e infortuni in costante ascesa sull’intero territorio nazionale, sarebbe il caso di circostanziare certe proposte e di accelerarne la concretizzazione.
La ministra Marina Calderone, per esempio, visitando il cantiere fiorentino dove il cedimento di una trave è costato la vita a cinque persone, ha sottolineato la necessità di introdurre l’insegnamento della sicurezza nelle scuole. L’idea è sicuramente condivisibile, ma si presta a una serie di osservazioni. La prima è la seguente. Già nell’estate del 2023 Walter Rizzetto, parlamentare di Fratelli d’Italia e presidente della Commissione Lavoro della Camera dei deputati, annunciava una proposta di legge per fare della sicurezza del lavoro una materia di insegnamento nelle scuole secondarie. Il testo prevedeva persino la testimonianza di vittime di infortuni gravi: «Vale più di mille libri letti», sottolineava (a buon diritto) Rizzetto. In più, la proposta puntava sul controllo preventivo, contemplando la possibilità di contattare gli ispettori già prima del verificarsi di un infortunio o di una morte bianca, per chiedere loro di verificare il rispetto delle regole d’ingaggio. A distanza di oltre sei mesi, però, quella proposta è rimasta tale e non ha ricevuto il definitivo via libera dal Parlamento. Nel frattempo, in Italia, il numero delle vittime ha toccato quota 1.041 al 31 dicembre 2023, con Basilicata e Puglia che si sono distinte per un’incidenza di infortuni mortali nettamente superiore alla media nazionale.
Altro tema sul quale la politica continua a dimostrarsi evasiva è il contenuto esatto dell’idea rilanciata dalla ministra Calderone. In altri termini: che cosa si intende per insegnamento scolastico della sicurezza del lavoro? Una proposta seria dovrebbe prevedere la partecipazione attiva di studenti e insegnanti, ma anche dei genitori. Il che imporrebbe un insegnamento basato su casi di vita reale, l’utilizzo di strumenti didattici innovativi, magari il coinvolgimento dei ragazzi nella gestione della sicurezza del proprio istituto e l’avvio di campagne di promozione della salute. Le criticità sarebbero due. La prima: gli studenti potrebbero prendere sotto gamba il nuovo insegnamento. Per evitarlo, sarebbe il caso di introdurre la sicurezza del lavoro tra le materie presenti in pagella. Il secondo rischio è che l’insegnamento di nozioni tecniche sia affidato a soggetti non sufficientemente preparati e formati. Per aggirare l’ostacolo bisognerebbe, nell’immediato, rivolgersi a esperti esterni in grado di trasferire ai giovani le conoscenze e le competenze indispensabili per fare di loro lavoratori attenti e consapevoli; nel lungo periodo, sarebbe opportuno inserire la sicurezza del lavoro nel percorso formativo per diventare insegnante e prevedere il continuo aggiornamento di queste nozioni attraverso corsi erogati in modalità e-learning.
Insomma, tragedie come quella di Firenze o quella di Nardò, dove un collaudatore è morto in pista, ricordano che il tempo degli slogan e degli annunci è finito da un pezzo. Sulle pagine de “Il Foglio”, Stefano Crestini, presidente di Confartigianato Edilizia, ha opportunamente parlato della sicurezza del lavoro come di un «patrimonio di civiltà», osservando come la cultura della sicurezza debba essere coltivata già in famiglia e a scuola. La politica, dunque, deve passare dalle parole ai fatti. A meno che non voglia continuare a contare morti e feriti.
Raffaele Tovino / Direttore Editoriale Il Mondo del Lavoro - 26 Febbraio 2024
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